domenica 14 dicembre 2014

Una Lama – racconto diverso dell’Ispettore De Angelis 5° capitolo - 1a parte






Il colore dell’inquietudine è verde. Quello della riflessione giallo. Insieme danno il colore blu. Il colore del tormento.

De Angelis si sentiva blu. In tutto e per tutto.
Mani, piedi, torace, cuore, polmoni.
Blu.


Era tormentato dai suoi pensieri, dal suo volere a tutti i costi mettere le mani su colui che lo stava portando nel proprio abisso.

Lui, l’abisso, lo aveva già visto.
Nero, buio, violento.
E non voleva tornarci ma, sapeva che, se non avesse fermato prima di chiunque altro, quel mostro, si sarebbero incontrati giù, nel fondo di quell’abisso.

Le giornate passavano e nulla veniva a galla in più di quello che erano riusciti a mettere insieme. Nessun altro piccolo indizio, nessuna altra piccola macchiolina nel cammino schizofrenico e pazzoide che stava percorrendo. Nessuna notizia da nessuno dei ragazzi di De Angelis che battevano tutto il giorno le strade della metropoli lombarda.

L’ultimo tentativo era rimasto nel pezzo che Moggia, il giornalista amico dell’ispettore, avrebbe pubblicato il giorno seguente.

Un articolo che metteva in evidenza alcuni dei particolari venuti a galla, che tracciava una parte del profilo psicologico dell’assassino ma senza scoprire troppo le carte. Lo stretto necessario per stimolarlo, stuzzicarlo, farlo uscire allo scoperto magari portandolo a compiere un passo falso.
Insieme a Tolli continuava a passare da commissariato a commissariato cercando gli agenti che avevano seguito le vecchie indagini degli altri omicidi. Cercava chi ricordasse qualcosa in particolare.
Leggevano rapporti in cerca di piccoli particolari che potessero essere utili, parlando con quei pochi che ancora erano in servizio nelle stazioni e non fossero in pensione, morti o trasferiti.

Novembre iniziava a farsi più fresco e piovoso, le luci della città si accendevano ancora prima della sette di sera, le persone tornando a casa tenevano la testa piegata verso il basso più del solito, come ad arrendersi a quella che stava iniziando.
La stagione più difficile e fredda dell’anno.
La stagione della quale De Angelis voleva la resa dei conti con quella figura deviata e ossessionata dal sangue.

Erano ormai quasi quattro giorni che giravano dappertutto. In città, fuori Milano, lontano da qualsiasi tentativo di risoluzione finale. Soltanto cercando di aggiungere indizi, tasselli, particolari ad un progetto che iniziava a sembrare impossibile da realizzare anche a loro.

“Mì so’ minga chi l’è può esser lù Claudio. So soltanto che sembra sempre una persona diversa nelle poche testimonianze che aveém reccolt’. Una volta l’è alto, l’altra basso, poi bianco poi neghèr…son perplesso”  - con tutta la sua fedeltà e bontà d’animo, Marco Tolli iniziava a credere davvero che potesse essere una soluzione impossibile da concludere.

“Marco lo so. Non saprei dove sbattere neanche io la testa in questo momento. Abbiamo forse troppe informazioni, idee, supposizioni, pensieri o frustrazioni da riordinare – accese un cigarillo e diede una lunga aspirata, concentrata, pensierosa. Nella macchina si sentiva soltanto il rumore dello sfrigolìo della brace che ardeva – però so con certezza che la sua pausa non durerà ancora a lungo e, mettendogli pressione, lo possiamo portare a sbagliare. A commettere l’errore fatale. A portarci da lui.”

“Ne sei convinto vero ?!”

“Domani l’articolo di Moggia uscirà ed allora oltre all’allarme che si insinuerà nella gente, la pressione mediatica aumenterà. Avrà una reazione. Qualsiasi essa sia lo farà cadere in errore. Deve sbagliare ! E’ troppo tempo che opera soltanto in estrema perfezione, prima o poi deve sbagliare! E il “poi” sarà la prossima mossa, la prossima violenza. Me ce gioco i coglioni”

“Vedèm che succederà, ti dico in sincerità, le mie di speranze si affievoliscono”
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Il colore del giorno diventava grigio chiaro, statico, acre. Tutta la città si muoveva con quel ritmo particolare, quasi di regressione ad una condizione remissiva su quello che si stava per posare su Milano.

Le strade umide, confuse su ciò che accadeva, portava negli occhi delle persone sguardi rassegnati, di vittime e complici inconsapevoli di tutto ciò che sarebbe successo.
Una città concentrata su sé stessa, cinica, competitiva, dove non c’era spazio per la sorpresa ma solo per la sfida.

Proprio quella sfida che come capitale morale portava ogni giorno sulle coscienze della Nazione. Quella Nazione in defibrillazione, in decomposizione, odorante di formaldeide eppure ancora viva, come i vegetali che la governavano facendo finta di farlo, grigi anche loro.
Come Milano.
Il troppo oscurarsi laddove l’apparire non si confutava con l’essere.

Questo era lo scenario che guardava al di là della vetrina del suo negozio. Fermo, seduto alla scrivania del suo ufficio sul retro. Il mento appoggiato alla mano, con il braccio appoggiato al gomito, appoggiato sulla scrivania. L’altra mano in tasca nella giacca di tweed. Il pollice e l’indice che giocavano con un lobo dell’orecchio di Linda, la sua ultima amata e divorata.

Ah, Michela.

Aveva iniziato da meno di una settimana a partecipare alla sua vita, sempre in disparte, a distanza.
Dall’uscita dell’ufficio fino a casa.
Da casa al suo locale preferito dove le piaceva “fare” l’aperitivo. Milanese. Il rifugio dei pavidi, di coloro i quali soltanto per rivolgere la parola alla loro preda, assumevano alcool. Ma poi allora che caccia sarebbe stata ?! 
Una caccia alterata, fredda di sudore malato, colma di pallore genitale da spremere per sentirsi vivi.
Una sera l’aveva vista appartarsi con un uomo con cui aveva appuntamento. Non lo aveva portato a casa sua, no. Avevano iniziato in macchina.

Lui, da almeno 30 metri di distanza, parcheggiato sul lato opposto del marciapiede, li aveva visti uscire. Li aveva seguiti e spiati a distanza. Loro avevano iniziato a baciarsi, accarezzarsi. Quando la testa di lei si era abbassata, lui era sceso dalla sua auto e si era nascosto dietro la loro, dalla parte posteriore dell’auto dell’accompagnatore occasionale e, lentamente si era eretto per guardare meglio cosa succedesse dentro l’abitacolo.
I capelli di Michela che si muovevano seguendo il movimento in su ed in giù della testa, il vetro lato guidatore che si iniziava ad appannare. Era ciò che voleva vedere, quello che si aspettava da loro, ma stava rischiando, doveva ritornare in macchina e così fece. 
Seduto al volante mentre continuava a spiarli, ebbe un’erezione. Subito si punì colpendosi con un pugno proprio sul membro eccitato ma, nonostante la forza di volontà, non riusciva a smettere. Quella donna iniziava a precludere ogni suo autocontrollo. La desiderava più che mai.
Il tempo stava esaurendosi, non poteva continuare ad umiliarlo così, rendendolo complice e dipendente da ciò che sessualmente in quel momento rappresentava per lui. Doveva agire prima possibile o avrebbe perso qualsiasi controllo durante le sue perlustrazioni.

Mise in moto e si diresse verso la zona di Milano dove sicuramente avrebbe trovato la soluzione a quel suo malessere. La zona dove il confine fra donna e uomo era molto labile. A scelta di chi voleva tastarne la consistenza.
Mentre guidava si immaginava la Lama fredda e lucida che incideva la marmorea pelle di Michela. 
Fra le ascelle, sotto la quinta vertebra, con un taglio semicircolare e netto, avrebbe potuto amputare ed asportare un seno intero. Metterlo nel contenitore frigo e portarselo a casa. Dove ne avrebbe approfittato tutte le volte che avrebbe voluto.
Le labbra. Quelle erano qualcosa di particolarmente eccitante. 
La loro funzione una volta asportate però sarebbe stata inutile. O quasi.

Di nuovo eccitato accostò di fianco ad uno dei freak di zona Monumentale, tacco 15, parrucca e nudità in mostra. Lo fece salire e si diressero verso il motel ad una stella di Via Principe Eugenio. Il motel di “servizio” nel quale far cigolare la parte perversa dell’anima, la parte più perversa del proprio essere. Lui prese la chiave numero 16 e salirono verso la tana dove esternare limiti e passioni.

“Allora facciamo come al solito amore ?!” chiese il transessuale.

Lui non rispose, aveva una musica in testa, alta, che lo assordava. La sua musica ….

her husband was a hard working man just about a mile from here his head was found in a driving wheel but his body never was found my girl my girl don’t lie to me tell me where did you sleep last night ….”

Iniziò a slacciarsi la cintura lasciandosi calare i pantaloni. La musica aumentava ancora di volume.
Una musica che soltanto lui poteva sentire…

in the pines in the pines where the sun don’t ever shine I would shiver the whole night through         my girl my girl where will you go I’m going where the cold wind blows…

La bocca umida e calda del trans iniziava a cingere il suo membro ingrossato ma non provava nessun piacere. Non provava nessun dolore. Nulla. Pensava soltanto a Michela ed era per quello che era eccitato. Non riusciva a togliersela dalla testa …

my girl my girl don’t lie to me tell me where did you sleep last night…”

Mise la mano sotto al mento della creatura inginocchiata di fronte a lui, lo sollevò impercettibilmente sfilandole l’uccello dalla bocca.
“Guardami” disse. 
La testa si mosse all’indietro, la fronte puntò verso l’alto, il rossetto sbavato, un po’ di saliva ai lati della bocca, il sorriso che si allargava per compiacerlo.
La Lama tagliò di netto la carotide. La bocca si aprì in un rantolo, gli occhi si intristirono, si riempirono di lacrime e solitudine.

Lui si inginocchiò di fronte alla creatura della notte facendosi inondare dagli schizzi di sangue che a fiotti gli uscivano dal collo. Michela nella mente.
Gli piantò la Lama in mezzo al petto. Trascinò lo squarcio fino all’addome. La sfilò leccandola.

Il liquido rosso e caldo dal sapore rugginoso nella bocca. Si alzò in piedi, con la pianta del piede lo scalciò sulla fronte facendolo cadere a petto in su. Lo squarcio si illuminò, lui si masturbò finendo l’opera orgasmica sul corpo martoriato.

Entrò in bagno per lavarsi, si tolse i vestiti e li mise nel water bruciandoli mentre entrava in doccia. 
Iniziò a strofinare forte, sempre più forte con la saponetta di scarsa qualità in dotazione nell’hotel. 
Sfregò fino ad arrossare tutta la pelle del pube e del petto. 
Voleva punirsi ancora di più, ancora più forte. 
Piegò all’indietro la testa, aprendo la bocca sotto al soffione della doccia. Voleva sentire cosa si provava affogando. Tappandosi il naso con la mano e continuando a strofinare forte sul membro.
Quando ebbe finito e fu esausto nel punirsi, uscì fuori nudo, con una salvietta da bagno intorno alla vita. Il portiere, piedi incrociati sulla scrivania e sigaretta accesa fra le labbra, neanche alzò lo sguardo dalla piccola televisione in bianco e nero appoggiata sul bancone. 
Lui, scalzo, attraversò la strada, fece lampeggiare le luci dell’auto togliendo l’immobilizer, salì e iniziò a guidare verso casa. 
Stanco. 
Con il suo senso di colpa e perversione appagato. 
Con la sua voglia di sangue soddisfatta.
Sempre pensando a Michela.




mercoledì 25 giugno 2014

Una Lama – racconto diverso dell’Ispettore De Angelis 4° capitolo 3° parte










“Avanti !” gridò il Questore Piccinetti in risposta al suo bussare.

De Angelis entrò e si sedette su una sedia pieghevole davanti alla scrivania in mogano massiccio. Piccinetti alzò gli occhi dalle carte e lo scrutò profondamente. Barba lunga, occhiaie cerchiate di grigio, vestiti stropicciati, leggero tremolio alle mani. L’ispettore era di nuovo a pezzi pensò.

 “Desidera Ispettore ?! Mi dica, sono a sua disposizione”
 
Sapendo che il Questore era un politicante della prima ora, che disprezzava e compativa i poliziotti solitari e troppo indipendenti, decise di fare appello alla sua autorevolezza nei risultati conseguiti per poter arrivare a dama. 
Chiedergli via libera per gestire il caso come preferiva senza che ci fosse uno scambio futuro di favori. 
Voleva chiedergli uomini, pressione sui media e fondi per poter muoversi meglio in quella melma nel quale Tolli e lui si trovavano.

“Buongiorno Dottore. Come sa è da un po’ che lavoriamo a tempo pieno sugli omicidi di quelle ragazze”

“Diciamo che me ne ero accorto autonomamente De Angelis. A che punto siete ?!”

“Solo buchi nell’acqua. Vede, dopo il mio rientro, trovarmi subito di fronte ad un caso del genere mi ha un po’ scosso. Stanotte ho dormito in ufficio, ho ripassato tutto, incrociato vecchi casi, fatto ipotesi. Ma nulla. Non riesco a inquadrare bene la situazione.”
 
“Ispettore, mi faccia una cortesia. Salti le stronzate ! Ho controllato i rapporti. Lei, anzi voi, di progressi in teoria ne avete fatti ed anche parecchi. Quindi per cortesia, non mi tedi con la sua burocrazia mentale e vada al sodo. Tanto ho già deciso come impostare il tutto” alzando la testa dalla scrivania, si sistemò il ciuffo di capelli che era calato sopra gli occhiali. 
Fissava De Angelis il quale, con un sardonico e sornione mezzo sorriso sulle labbra, si drizzò sulla sedia pieghevole ed iniziò la richiesta.

“D’accordo. Allora durante i sopralluoghi e le indagini ho trovato coincidenze incontrovertibili e soprattutto logiche che collegano gli ultimi due omicidi ad altri di giovani donne. 
Almeno 10 uguali, il modus operandi varia ma, le vittime, facevano tutte parte di un certo tipo di connotazioni fisiche, di abitudini, di routine. 
Ho richiesto e ricevuto i dossier completi di questi altri assassinii e certe coincidenze cronologiche oltre ad altri fattori, mi hanno convinto che tutte e dico tutte sono state uccise dallo stesso uomo, quello che ha ucciso Linda e Melania. Gli ultimi due omicidi nei quali ci siamo imbattuti. 
Credo che provi soltanto piacere nel farlo, che plachi qualche suo demone che ha dentro che cerca la pace. Ci troviamo sicuramente di fronte ad un uomo dall’intelletto acuto, psicopatico ma particolarmente brillante e dovremo organizzare qualcosa di massiccio per catturarlo. 
Altrimenti ucciderà impunemente per chissà quanto altro tempo. Mi servono almeno dieci agenti esperti però, al lavoro, a tempo pieno, che costituiscano un collegamento con tutti i commissariati della città, orario illimitato straordinario. Avrei anche bisogno del sostegno della stampa, per pungolarlo, stuzzicarlo, farlo cadere in errore magari mentre rigiriamo questa città come un pedalino….”

Piccinetti lo interruppe, alzando le mani, i palmi aperti rivolti verso di lui, come a volerlo fermare fisicamente.

“Lei ha prove concrete quindi che io non so ?! Un testimone, un Dna, qualcosa che renda credibile queste sue teorie ?!”

“No”

“Quanti degli omicidi passati e collegabili a questo sono ancora aperti ?!”

“Nessuno. Credo.”

“E come pensa che io possa affidarle una indagine del genere e condotta in questo modo ?!”

“Beh, lei stesso ha detto che abbiamo fatto progressi e siamo soltanto in due, se fossimo…”

“No”

“Come ?!”

“Non le affiderò nessuna risorsa in più di quella che ha. 
Se vuole tenere l’indagine. Gli uomini sono i soliti, i fondi sono i soliti, non siamo mica in tempi di vacche grasse. Se fanno un altro taglio alla Difesa fra poco dovrete tirare pietre ai criminali. 
E, De Angelis, non mi prenda ulteriormente per il culo. Vuole usare la stampa per stuzzicare questo presunto serial killer ?! Ha il suo amico del cuore Moggia, crede che io dorma da piedi ?! Altrimenti lasci perdere questa storia, si dedichi a casi più semplici, sfrutti il suo esaurimento per riposare ancora e lasci l’indagine a chi sa lavorare in gruppo”

Il viso dell’ispettore divenne rosso, riprese colore, vita, le occhiaie si ritirarono dal nervoso quasi. Stava per esplodere.

“Merda ! Ho il miglior stato di servizio e di casi risolti di tutta Milano ! Perdio non può farmi questo"

“Oh, sì che posso e, lo sto facendo anche. Lei se vuole tenere il caso, vi si dedicherà così come si è dedicato a tutti gli altri. 
In fondo è soltanto una mente deviata ha detto no ?! 
Fondi non ce ne sono, gli uomini sono contati e lei mi viene a cagare il cazzo con le sue squadre investigative ?! 
Fuori di qui e mi faccia sapere se accetta o no”

“Sicuro che accetto vecchio stronzo accetto ! E prenderò quell’animale, lo porterò qui da lei e uscirò chiudendomi la porta alle spalle. Il mio regalo d’addio” sibilò

“FUORI ! ESCA IMMEDIATAMENTE SE NON VUOLE ESSERE SOPSESO ! FUORIIIIIIIIIIIIIII !!!!!!”

Tolli lo aspettava in ufficio. Era arrivato un’ora prima per avvisarlo che Piccinetti voleva parlargli e lo aveva trovato sdraiato a terra con il cigarillo in bocca che fissava il soffitto. Intorno a lui cartelline e cartacce appallottolate. La finestra aperta per cambiare l’aria stantia della notte, appoggiato alla parete lo vide rientrare ancora rosso in viso.

“ ’ndata male eh ?!” chiese

“Hai da vede. Ha fatto salti di gioia, mi ha anche abbracciato con gli occhi lucidi quando gli ho chiesto uomini h24 sul caso. Sto stronzo. 
Mai una volta che capisca subito l’entità dei problemi”

“Dai Clà, lo sai che non avevi chance per ottenere ciò che avevi in mente”

“Sì lo so. Però cazzo mai una volta che riesca a venire incontro ai bisogni di chi sputa sangue sul lavoro. Mi sento come se questa storia fosse fatta per me, cucita apposta addosso a me. 
Come se non riuscissi più a sapere chi sono o chi potrei essere finché non avrò preso questo figlio di zoccola. E capire perché ha deciso di distruggere e violentare questa innocenza.”

“Quanto siamo sicuri ?!” gli domandò Tolli con un filo di paura nella voce

“Completamente Marco” rispose De Angelis

“Quante ne hai contate in totale allora ?!”

“Almeno 13”

“Che facciamo ?! Cosa vuoi fare tu ?!”

“Io da solo non faccio nulla, non sono niente da solo. 
Noi facciamo qualcosa. 
Ho pensato che possiamo stanarlo, spingerlo fuori in qualche maniera. Non abbiamo aiuto ufficiale dalla Questura ma possiamo lavorare come abbiamo sempre fatto. Possiamo chiedere ai ragazzi un po’ di attenzione in più, li sparpagliamo in cerca di qualsiasi indizio. Milano non è poi grande. Non voglio più perderlo questo caso Marco, ci sono dentro fino alla spina dorsale. E condiziona il mio modo di pensare ormai”

“Io sono con te da dudes aàn e ti sembra che te lascio solo ?!”

“Dai Marco, ce la possiamo fare. Innervosiamolo, facciamolo uscire fuori, facciamolo sbagliare. Si senTe sicuro, si sente forte, lo eccita tutto questo e se la sente bene ancora. Ed è più facile farlo sbagliare ora”
“Sono con te qualsiasi cosa tu decida di fare. Iniziamo !”
De Angelis portò a conoscenza dell’amico e collega tutte le deduzioni che aveva tratto durante quei due lunghi ed interminabili giorni. 
Cercarono di creare delle connessioni fra le ragazze ma non trassero nessun indizio utile. 
Allora iniziarono a delineare un profilo più centrato di quella bestia.  Non era emerso nulla di nuovo ma, lo studio psico-caratteriale che avevano fatto con l’aiuto del professor Scalia, aveva aggiunto al tutto una dimensione diversa, nuova. Una dimensione caratteriale soffusa su tutte le azioni. 
Gelide e raffinate allo stesso tempo. 

La loro convinzione era basata su una deduzione del carattere dell’assassino così marcata così forte da non poterla più ignorare. Il carnefice era omosessuale. Tutte le morti, la loro genealogia violenta e distruttiva, erano un tentativo di nasconderlo a se stesso. 
Tutti i brutali omicidi, le mutilazioni, tradivano una soddisfazione, a volte accompagnata con eiaculazioni, per dei lavori ben fatti ed un desiderio assoluto di anonimato, per proteggersi e per proteggerlo.
Punti fondamentali di una divisione spartiacque di una sessualità prepotentemente emergente, forte e vergognosa da dover essere affogata nel sangue.
Viveva in città , doveva essere molto forte, molto poderoso per poter amputare di netto, con un solo colpo, arti e membra. 
Senz’altro una persona anonima, in grado di sorvegliare e spiare senza essere notato, anche da distanze ravvicinate. In grado di cambiare atteggiamenti repentinamente, in base ai personaggi da impersonificare che gli servivano per entrare magari negli appartamenti delle ragazze. 
Qualora lo avesse fatto con tutte e non solo con Linda.
Era necessario per lui uccidere. 
Doversi sottomettere però a d un rapporto completo avrebbe distrutto il suo desiderio di uccidere. Perciò prima soddisfaceva la sua necessità eppoi soddisfaceva la sua eccitazione. 

Immaginarono poi che l’assassino si trovasse ancora in una curva sessuale ascendente quando la scelta, o il trauma, che lo fece scegliere iniziò intorno agli anni ’90, lasciando un periodo di incubazione della violenza di circa 5/6 anni, tenendo conto di pubertà ed adolescenza. Arrivarono alla conclusione che doveva avere oggi fra i trenta ed i quaranta anni al massimo. Le motivazioni principali del perché uccidesse, del perché si trovasse in riserva e gli servisse la violenza come benzina, non era del tutto chiaro tranne per un trauma violento sicuramente subito durante la formazione sessuale della pubertà appunto.


La mattina era fresca ancora di più rispetto alle settimane precedenti. La brezza che tirava da parco Ravizza in direzione di via Bocconi era piuttosto fredda e l’odore dei castagni arrivava di soppiatto sotto al naso, come un anticipo autunnale a richiesta. 
La luce si era fatta più chiara, il cielo di un celeste meno acceso e i colori delle foglie e dei rami degli alberi ormai viravano al beige.
I passi della sua falcata erano rapidi, tipici del suo carattere. Sembrava quasi corresse quando camminava. 
Il suono dei tacchi sull’asfalto echeggiava nella via dove fra rombi di motorini e vociare di mamme e bambini, Jessica stava passando. Decise che si sarebbe diretta filata al bar per fare colazione prima di entrare in ufficio. 
Era affamata. Svoltò l’angolo e sorrise al pensiero che avrebbe trovato anche Michela dentro.
La sorpresa che la colse fu grande. Il sorriso al pensiero di poterla trovare lì si trasformò in un sorriso di compiacenza vedendola fare colazione ed “ocheggiare” con l’uomo che incontrarono in quello stesso bar la settimana prima. Quello che sembrava strano perhé si era fermato a fissarle a meno di un metro di distanza. Ora capiva il motivo. 
Michela aveva fatto colpo ed ora stava usando tutto il suo appeal per ammaliare la sua conquista.

“Jessica ! Posso presentarti Mauro ?! Te lo ricordi ?! Dovresti no ?!”

“Certo che sì – rispose – molto piacere. Io sono Jessica”

Da dietro le spalle dell’uomo, Michela le strizzava l’occhio, sorridendole in maniera smagliante. Era molto coinvolta già, probabilmente. 
Lei ripensò al momento nel quale con Claudio si erano conosciuti, nel locale di Gigi. Capelli lunghi, camicia aperta in modo distratto, quelle mani nervose, venose, sempre in movimento  quasi fossero, le mani, in preda ad una sindrome ipercinetica pre adolescenziale. 
Tutto le era sembrato tranne che un poliziotto ma, per lei, era bello da morire. 

“Posso unirmi a voi per la colazione ?!” chiese iniziando a far da spalla alla sua amica Michela.


Ora la visione era completa. 
Poteva essere per una volta almeno, il Duca di Blangis*. 
Era eccitatissimo soltanto al pensiero ma, doveva mantenere la calma. Sentiva il profumo della carne, aveva già il solito brivido lungo la spina dorsale. 
Il profumo delle due donne ora lo stava inebriando, togliendogli lucidità, quella lucidità della quale aveva assolutamente bisogno. 
Sapeva che poteva essere pericoloso osare con entrambe ma, dalla prima volta che le aveva viste, le aveva desiderate.
Già si immaginava potente e bellissimo, nudo di fronte a loro. 
Le piccole pozze di sangue che si sarebbero formate a causa delle amputazioni, l’odore acre del sudore e degli umori, il freddo delle lame, la loro lucentezza, il suo sudore orgasmico.
Doveva recuperare il controllo. 
L’obiettivo era a portata di mano ma, era importante che restasse calmo e che pianificasse tutto come aveva sempre fatto. 
Stavolta sarebbe stato più pericoloso anche ed era per quello che non poteva permettersi nessun errore soprattutto dovuto alla golosità, alla cupidigia. Il momento sarebbe arrivato e ne avrebbe goduto fino in fondo. 
Fino alla fine, al suo piacere personale.
Visioni di colore rosso invadevano i suoi pensieri, un leggero tremito di mani lo travolse. 
Lo nascose subito mimando gesti che mai aveva pensato di fare prima, così come mai aveva avuto la possibilità di avere un così intimo contatto con le sue vittime. 
E lei era lì, nella sua rete, a portata di Lama. Ebbe un brivido. 
Cercò di concentrarsi su quello che le due donne si stavano dicendo.

“Quindi cosa ho fatto ?! Ne ho approfittato ed ho immediatamente chiesto al mio amico architetto…sai quale no Jessi ?! Quello gay ! Quello vestito sempre con i papillon ed i pantaloni con il risvolto cortissimo !!! – squittì – Insomma a lui, mi ha fatto un progettino e così posso allargare il bagno e costruirmi questo fantastico Hammam casalingo, tutto per me ! E per i miei ospiti !” facendo l’occhiolino alla sua amica.

Jessica aveva avuto una strana sensazione quando aveva raggiunto la sua amica. Le era sembrato che l’uomo che era con lei, tremasse, come in preda a brividi di freddo o ad una crisi di astinenza. 
Era impeccabile, vestito in maniera perfetta ma quello che la colpiva era la totale mancanza di imperfezioni nello stile. 
Nessuna piega della camicia, nessuna piega nei pantaloni. 
Michela si stava appiccicando ad un uomo assolutamente normale, quasi banale, sia nel vestire sia nei modi da quanto poteva vedere.

“Quindi direi perché stasera dopo il lavoro non ci ritroviamo tutti e tre qui per un aperitivo !?” chiese Michela

“La ringrazio molto ma, ahimè, ho un precedente impegno Michela e mi addolora dirle di no ma purtroppo ne sono costretto” rispose l’uomo che aveva detto di chiamarsi Mauro.

“Anche io non posso Michi, Claudio stasera è libero e pensavo di stare con lui finché ci riesco” replicò Jessica

“Uh….allora un’altra volta ?! Intanto la mattina quando capita possiamo vederci qui vero ?!” Chiese sporgendo il busto sopra al tavolo in direzione di lui.

E’ il caso a dare la scossa determinante. E’ il caso a tirare quello che in gergo si chiamano “Dadi” ed invece sono soltanto gli incroci, un po’ banali, localizzati di ciò che accade intorno ad ognuno. 
Ne era consapevole. Ne era felice per di più. 
Lei ora poteva essere anche avvicinata per caso, poteva sorvegliarla, studiarla anche da più vicino, entrare nel suo intimo più velocemente. E più velocemente divorarla come un epatite morbosa, mangiatrice di sensi e sensuale come una fredda punizione d’acciaio dentro e fuori il suo corpo. 
L’odore già ne sentiva e se ne inebriava, ne godeva spiritualmente. 
Quella sera sarebbe andato in cerca di chi lo avrebbe punito per quell’impazienza.




·         *Uno dei protagonisti de “Le 120 giornate di Sodoma”  di Donatien Alphonse François De Sade

Viene descritto come un tipo di notevole statura e possente forza fisica, prestante e dotato peraltro di una grandissima potenza sessuale rimasta, nonostante l'età, inalterata. Blangis è un aristocratico totalmente privo di principi morali, desideroso solamente di soddisfare i suoi appetiti e istinti primari, in nome di un naturalismo estremo. Tale assenza di scrupoli si è in lui rivelata sin dalla più tenera età, trovando una prima applicazione nell'assassinio della madre e della sorella (quando questa venne a sapere dei suoi piani) da lui attuati per evitare di dover spartire con esse l'immensa eredità paterna.
Innumerevoli altri atti infami hanno accompagnato la sua esistenza: ciononostante egli è un personaggio codardo e vile nei momenti di difficoltà e pericolo, una caratteristica questa che egli stesso tuttavia giudica positivamente reputandola un sentimento naturale e legittimo, frutto dell'istinto di conservazione. È vedovo di tre mogli, morte tutte per mano sua ed ha una figlia Julia, con cui intrattiene una relazione sessuale.

lunedì 28 aprile 2014

Una Lama - racconto diverso dell'Ispettore De Angelis 4° capitolo 2nda parte














La pila delle cartelle dei casi irrisolti era in fila, sulla destra della scrivania. Accanto, verso il centro, il posacenere di De Angelis, colmo di mozziconi di cigarillo. 
La luce che entrava dalla grande finestra del palazzo di via Fatebenefratelli risaltava i profili rossi e verdi dei pieghevoli in plastica che contenevano referti, verbali, elenchi di prove, fotografie e tutto quello che dovrebbe servire per risolvere un’ indagine. 
Insieme a testardaggine, coraggio e anche un po’ di fortuna.

Si sentiva impotente ed in balia di forze al di là delle sue possibilità. 
Sembrava girasse intorno senza venire a capo di nulla. Iniziava ad avere una visione distorta di Milano, una città abitata da donne bellissime che imploravano il suo aiuto con occhi terrorizzati, inseguite perennemente dal loro assassino.
Squillò il telefono sulla scrivania:

“De Angelis !” rispose nervosamente

“Sei ancora lì quindi” era Jessica. Ricordò di avere il cellulare nella tasca del giubbotto, con la vibrazione ancora attivata.

“Sì Piccolé perdonami ma mi sono dimenticato di tirare fuori il cellulare dalla tasca e metterlo sulla scrivania. E’ molto che mi cerchi ?!”

“Soltanto dalle cinque di oggi pomeriggio. Sono le undici. Dimmi tu se è una cosa normale”

Cazzo. Era stato sei ore in balia di pensieri, paure, visioni. Non si sentiva affatto bene. Un giro per i marciapiedi di Milano però avrebbe potuto schiarirgli le idee, soprattutto a quell’ora.
 
“Hai mangiato ?!” le chiese

“Veramente la cena è ponta dalle nove ma credo che ormai sia tutto uno schifo”

“Dai, perdonami. Lo sai come e quanto sto impicciato col cervello su ‘sto caso. Preparati, passo a prenderti fra mezz’ora andiamo un po’ in giro come piace a noi. Prendi il casco che sono in moto. E non iniziare a dire no. Arrivo.”

La serata fu piacevole. 
Il livello di adrenalina di De Angelis si era abbassato notevolmente e ,complice la stanchezza da parte sua ed il calore di Jessica, si stava incredibilmente rilassando. Stava assaporando il gusto della serata, stava ammirando la bellezza degli occhi della sua donna, dei suoi piedi infilati in quelle magnifiche scarpe fucsia, di cavallino, che aveva indossato.

Erano passati a salutare Gigi, il suo amico barman, che li aveva inebriati con il nettare dei cocktail che riusciva a preparare con la solita eleganza e maestria. Erano al terzo Martini lui, al secondo Cosmopolitan lei quando, Jessica, lo prese per le mani e lo portò a ballare. 
Riuscì a resistere per quasi mezz’ora, ballando e strusciandosi contro il corpo che più lo eccitava che avesse mai incontrato. Poi rallentò, siavvicinò al bancone mentre lei ancora si dimenava al ritmo della house.

“Gi’ mi dai per favore un bicchiere d’acqua frizzante..”

“T’èl chì lo sbirro col fiatone. Claudio ti vedo un po’ affaticato eh ?!”

“Scherza te. Sai in che merda di casino siamo capitati vero ?! Ed io sono qui che ballo come un coj..anzi come un bèl pirla !”

“Sì, ho letto e ti dirò: non ti invidio manco per il cazzo guarda. Mestiere di merda che fai in mezzo a maniaci, froci, pazzi furiosi, mignotte vendicative"

“Hai capito sì ?! Ho una paura fottuta che st’affare non finirà più proprio. Non so da che parte riuscire a trovare qualche appiglio fra un caso e l’altro”
 
“Ma come ?! Non è sempre lui che le uccide ? Un unico pirla pervertito !?”

“Sembrerebbe di sì ma, niente impronte, niente tracce neanche per sbaglio. Oh una che fosse una eh ?! Domani ricomincio anche con altri che provo ad incrociare ma, me sa che me ce vuole un mezzo miracolo”

“Claudio, il miracolo arriva perché tu sei un bel cazzo di mastino. Ti punti e pensi solo a buttare giù l’ostacolo che hai. Tieni, questo lo offro io”

“Sei ‘namico grazie Gigi !”

Quella notte fecero l’amore, intensamente, selvaggiamente. Lei la mattina dopo si ritrovò con parecchi graffi e morsi sul corpo.

“Amore, ad un tratto ho creduto volessi soffocarmi stanotte” gli disse Jessica mentre girava lo zucchero nel caffè

“Scusa amore ma, credo di essermi scaricato della tensione di questi giorni”

“Allora accumulane ancora ti prego” facendo l’occhiolino e infilandosi in bagno.

Quando tornò in Questura sbirciò dalla porta della sua stanza e le cartelline erano ancora lì, ovviamente.
Le contò di nuovo, spostandole dall’altro lato della scrivania. Anzi, pensò, prese la scrivania e la spinse in corridoio. Diede un calcio al cestino della spazzatura mandandolo a sbattere contro il muro, sotto la finestra.
Prese le cartelline e le sistemò in terra, in circolo. Lui ci si sedette in mezzo.               
Entrò Tolli

“Cos’è che stai combinando ?! Una seduta spiritica ?!”

“Bravo, forse con quella qualcosa risolviamo. Dai Marco non dì stronzate e lasciame lavorà”

“Bene, bene…vado a prenderti la colazione va. Nun s’ciupàr te né ! Chi mangia de bòn poi spusa de catif !”

“Ecco bravo. Cornetto pure grazie !”

Su ciascuna cartella erano segnati nome, cognome e data di decesso. Sì insomma, di assassinio. De Angelis le mise in ordine decrescente di anno.                   Raccolse tutta la documentazione proveniente da indagini dirette da Fatebenefratelli, fece lo stesso con quelle partite in origine dai commissariati di zona.
Delle 21 che rientravano nell’area urbana, sette vittime non erano italiane. 
De Angelis mise da parte le cartelline di queste e iniziò a verificare i propri istinti.   La voce della sua inconscia violenza silenziosa. 
Alla fine prese la decisione che l’assassino preferiva le italiane.
Per cui rimanevano 15 cartelline divise per ben 10 anni. 
Tenuto conto che il profilo psicologico sottolineava che l’uomo era fra i trent’anni ed i trentacinque, ne tolse altre 4 rimanendo con 11 cartelline. Quella il suo istinto gli diceva che poteva essere la strada da percorrere. Decise di fare una specie di manifesto, di poster con le fotografie, prima di leggere ancora una volta i dossier dall’inizio alla fine.

Cancellò tutti i pensieri, tolse le fotografie da dentro le cartelline e le appiccicò accanto alla cartina di Milano, dopo aver staccato le 42 puntine precedenti. 
I sorrisi dei volti delle ragazze nelle fotografie gli facevano sobbalzare i pensieri, l’anima. Convulsamente. Nel tentativo di arrivare all’orrenda certezza alla quale stava arrivando. Si sentì afferrare come da una morsa insanguinata, da una logica del terrore.
Le ragazze morte erano tutte della stessa categoria, sembravano quasi sorelle, quasi imparentate una con l’altra. Somiglianza nei corpi sodi e tonici, nei tratti mediterranei, aspetto sano, forte, vestite in maniera sexy, connotate da piercing, tatuaggi oppure semplici gioielli che erano veri e propri vezzi. Tutte donne innocenti apparentemente. 
Riguardò tutte le foto un’altra ventina di volte.                                                       Anelli particolari, collane con teschi oppure dadi oppure ancora ciondoli a forma di proiettile, in contrasto con un aspetto femminile splendido. Spalle scoperte a volte, trucco sì ma non eccessivo poiché erano già belle di loro. Non aveva dubbi. 
Le aveva uccise perché lo eccitavano e voleva distruggere la loro femminilità, così mirabilmente rappresentata da quello che erano.  
Da come vivevano.  
Da ciò che sceglievano.

Ricominciò a prendere parte ai riti di morte. Le amputazioni, le violenze sessuali, gli strangolamenti, all’ingestione forzata di liquidi caustici, agli squarci sugli addomi, alla scomparsa dei capezzoli o delle labbra vaginali o addirittura dei seni interi.
Metodi diversi con l’intenzione di non dare una vera e propria direzione alle indagini. Per non far capire che si trattava soltanto di un massacro.                                                                            
Unico comune denominatore: l’assenza di indizi.                                           Nessuna prova decente né concreta. Scelte per il loro aspetto.                       Soltanto la musica c’era sempre.                                                                            La sensualità e l’essere donne era l’epidemia di quella gioventù falciata.

De Angelis rilesse tutto il contenuto delle cartelline uscendo da quello stato di ipnosi, di trance, per rendersi conto dopo un po’ di essere seduto col culo a terra da più di due ore. Si alzò per allungare le gambe ed accendere l’ennesimo cigarillo. Nell’attimo esatto in cui aspirò la prima boccata, si sentì sopraffare da un orrore grande, più di lui.                             
Un orrore vero, reale: quello della genialità di quell’assassino, una genialità imperscrutabile, indecifrabile. 
Era ad un vicolo cieco e se ne rendeva conto. Non ci avrebbe potuto fare assolutamente nulla, era alla catarsi. 

Ma no, non poteva arrendersi così, poteva sempre riuscire a fare qualcosa.
Prese il nastro adesivo blu da dentro il cassetto della scrivana, tolse i calendari celebrativi della Polizia dal muro dietro la sedia e iniziò ad appiccicare le fotografie delle ragazze da lì per tutta la stanza. 
Mentre le attaccava una per una pensava:

“ Lui pensava a come mutilarle e violentarle mentre le sceglieva. Pensava al sangue ed all’orgasmo. Un orgasmo punitivo però”

Poi prese ancora una volta le cartelline, lesse i dati e chiudendo gli occhi e sbirciando ogni tanto la cartina cercò di pensare, si costrinse a pensare solo in termini di zone, di quartieri. Poi prese la penna e su un blocco notes iniziò a scrivere:

Zona Porta Romana:
-      Clara Abbagnale morta il 23/4/1999
-      Ludovica Campagnola morta l’11/5/2001
-      Elisabetta Marabelli morta il 18/10/2004

Zona Città Studi/Lambrate
-      Melania Giannini morta il 13/11/2010
-      Giovanna DiFeliciantonio morta il 28/2/2002

Zona Ticinese
-      Linda Laurenti morta il 22/11/2011
-      Carla Pomponi morta il 30/3/2011
-      Elena Giavrotti morta il 7/9/2006
-      Francesca Bellamore morta il 14/2/2008
-      Ilaria Cederno morta il 23/8/2003

Zona Corvetto-Calvairate
-      Alessandra Bonamico morta il 29/12/2009
-      Simona Orlandi morta il 15/11/2005
-      Lucrezia Balconi morta il 9/7/2008
-      Silvana Dusi morta il 31/3/2000
-      Maria De Cecco morta il 4/7/2010

Dividendole per modus operandi rilesse la pagina dei dati e ne tirò fuori tre morte per colpi ricevuti da un corpo contundente e poi mutilate, due mutilate e stuprate, due per arma da fuoco e poi mutilate. Secondo lui tutte venivano stuprate ma non tutti coloro che si erano occupati delle indagini avevano controllato.                                                  
Passando poi alla cronologia delle date di morte De Angelis segnata accanto alla liste delle vittime, trovò una metodologia dell’assassino.
Fatta eccezione in un paio di casi l’assassino uccideva ad intervalli variabili dai sei ai dodici mesi fatto salvo per gli ultimi due omicidi compiuti nello stesso mese.                            
Con quegli intervalli di tempo era potuto sfuggire alle indagini incrociate per tutto quel periodo. 
Gli omicidi erano senza dubbio eseguiti in maniera brillante, a termine secondo lui, di una accurata conoscenza maturata sorvegliando le vittime anche, come era successo con l’ultima, spiandole da dentro la loro casa. 
Forse c’erano state con molta probabilità altre vittime che però non erano elencate a causa di perdita dei dossier o degli errori delle squadre investigative o dei computer.

C’era un margine di errore nelle indagini di Polizia. I commissariati di zona e quello centrale eliminavano le indagini insolute dopo 15 anni. Ciò significava non poter accedere ad informazioni precedenti al 1998.

Invece questo comportamento patologico, ossessivo e per nulla compulsivo se non nel momento della violenza sessuale, era estraneo al consueto comportamento freddo ed imprevedibile dell’assassino. 
Uccideva regolarmente un certo tipo di donne. 
Uccideva regolarmente mutilando in un secondo momento e sempre dopo averne sessualmente abusato. Scientifico, propedeutico ma, del tutto ripetitivo.

Prese le cartelline dei primi 5 anni e lesse il contenuto di nuovo dall’inizio alla fine. Quando terminò del tutto, spense la luce, si sdraiò sulla poltrona di Tolli che aveva portato per quando facevano nottate, accese l’ennesimo cigarillo e iniziò a pensare su tutto ciò aveva appreso.

Tutto iniziò a scorrere davanti ai suoi occhi chiusi come un film, a velocità doppia però. Inspirava il fumo, sudava un po’ forse per la rabbia, la pelle della poltrona scricchiolava sotto il movimento del suo corpo. Non riusciva a stare neanche fermo da sdraiato.

Clara Abbagnale morta il 23 aprile del millenovecentonovantanove. Il secolo scorso, pensò. Gli inquilini avevano chiamato la Polizia disturbati dalla musica alta. 
Gli agenti avevano sfondato la porta e trovato Clara riversa sul pavimento. 
La schiena completamente priva della pelle, un casco da motociclista sulla testa, i piedi mozzati e privati delle dita ma, sistemati a circa un metro dal corpo. Quando dopo i rilievi la girarono sulla schiena e le tolsero il casco, due agenti svennero ed uno dei due, dopo mesi di psichiatra terapeuta, messo in servizio in ufficio.

Il 31 marzo dell’anno successivo una pattuglia convergeva in zona Calvairate chiamata dagli inquilini del palazzo dove viveva Silvana Duse.                                                                      
Si erano lamentati di uno stereo acceso nella casa a tutto volume, una musica assordante turbava la quiete condominiale. Gli agenti bussarono e dopo quasi un quarto d’ora, quando nessuno si era presentato all’uscio per aprirlo, entrarono da una finestra semiaperta del ballatoio.                                                            Trovarono Silvana seduta su una poltrona celeste imbottita. I braccioli, l’accappatoio che aveva addosso ed il pavimento di fronte a lei fradici del sangue schizzato fuori dalle arterie tagliate dei polsi. L’intestino riverso ai suoi piedi, completamente sezionata dal collo all’ombelico. I seni asportati, le orbite degli occhi bruciate.

Il meccanismo mentale di De Angelis ronzava nella stanza. Al buio.

Gli indirizzi erano lontani non più di 3 chilometri uno dall’altro. Scosse la testa incazzato. Qualsiasi poliziotto con qualche grammo di cervello in più e tre o quattro anni di esperienza avrebbe collegato i due omicidi che ancora oggi erano rimasti irrisolti.

L’omicidio più recente prima dei due nei quali di erano imbattuti Tolli e lui era dell’anno precedente. 
Carla Pomponi. 
Fatta a pezzi, completamente. Strinse i pugni, iniziò a pensare forte, tentando di rivolgere una specie di preghiera ad un tipo di Dio personale, nel quale credeva poco, con il quale non si confrontava mai ma, ora, cercato e di comodo, utile per una speranza. 
Il pensiero era ancora nella sua testa quando sentì bussare alla porta dietro di lui.